Correvano gli anni venti, erano anni ruggenti e folli allo stesso tempo, la grande guerra era ormai un ricordo e dappertutto si tornava ad una parvenza di normalità. Negli Stati Uniti il jazz impazzava, mentre le donne, flappers, garçonne e maschiette, iniziavano a voler uscire dall’ombra nella quale l’universo maschile le aveva da sempre relegate. Nel frattempo il mondo cambiava aspetto seguendo i dettami del nuovo gusto, l’art déco, definitivamente trionfante con l’esposizione internazionale di Parigi.
Tutto ciò era solo un’eco in una Catania, provincia siciliana, che nonostante si atteggiasse a città, era poco più di un sobborgo rispetto alle grandi metropoli internazionali.
All’ombra dell’Elefante e dell’Etna, simboli della città, due adolescenti, Giuseppina e Sebastiano, si guardavano da tempo tra un timido sorriso ed uno sguardo abbassato. Fino a quando, un giorno, Sebastiano decise di dichiararsi ufficialmente. Indossato il vestito della domenica, armato di coraggio, sceglie amorevolmente una rosa dal fioraio e si reca al negozio di dischi dove lavorava la giovane donna di cui si era infatuato. Alla chiusura Giuseppina fa finta di non aver capito e svolta velocemente verso casa. Allora lui la insegue, la raggiunge e le offre la rosa. Lei sorride e scruta furtivamente il suo pretendente in tutte le direzioni, per carpire qualche dettaglio che potesse dire qualcosa in più sul suo carattere e sulla sua condizione. Lo sguardo si sofferma al taschino della giacca, dal quale svettano noncuranti due piccoli sigari. L’incontro fu galeotto e da lì a poco Giuseppina e Sebastiano si fidanzarono ufficialmente, fino a coronare il loro amore col matrimonio.
Nel tempo, tutte le volte che Giuseppina voleva stuzzicare amorevolmente il marito, tirava in gioco il racconto del loro primo incontro, dicendo che Sebastiano era stato tanto amorevole nell’offrirle una rosa, quanto incauto nel portare con sé i suoi sigari che avevano coperto, col loro sentore, il delicato profumo della rosa. A quel punto Sebastiano controbatteva sempre dicendo che non era possibile, perché i sigari erano spenti ed inoltre lui aveva accuratamente scelto per lei la rosa più profumata!
Questo episodio è un esempio lampante di come la realtà sia spesso percepita in modi differenti e che nel ricordo rimane sempre la traccia del personale punto di vista.
Ho sentito questo racconto innumerevoli volte direttamente da Giuseppina, mia nonna, considerato che Sebastiano, mio nonno, era già morto due anni prima che io nascessi. A distanza di circa un secolo da quel fatidico incontro ho voluto donare un nuovo equilibrio ai due punti di vista dei miei nonni, per trovare l’accordo perfetto tra la rosa e il tabacco, tra la delicatezza dello spirito maschile di mio nonno e la femminilità senza fronzoli di mia nonna.
Ho voluto che il nome del profumo fosse legato alla musica, per ricordare il luogo del loro primo incontro. Ho cercato tra i nomi delle canzoni dell’epoca, ma nessuno ha acceso il mio immaginario. Poi mi è venuta in mente Rita Hayworth con la sua splendida interpretazione di Amado Mio in Gilda. Sono andato a rivedere la scena del film e mi ha subito convinto. Forse perché ho sentito il racconto solo da mia nonna, con un tono tra l’ironico ed il nostalgico, con la giusta dose di malinconia che solo il tempo può rendere contemporaneamente dolce e struggente. Credo che questa canzone, nonostante lontana cronologicamente più di un decennio dal loro incontro, possa interpretare correttamente l’equilibrio tra la femminilità della rosa, la dolcezza rude del tabacco, l’innocenza maliziosa dell’incontro di due adolescenti, la sensualità sognante di una coppia nascente, la morbidezza confortante di un ricordo del passato che è stato unico e totalizzante, ma che non tornerà mai più.
Amado Mio irrompe nell’aria con un accordo verde e fiorito in cui i toni scuri e liquorosi di una rosa rossa si intrecciano con la linfa delle sue foglie, ma anche con l’oscurità terrosa di un geranio dalle sfaccettature metalliche, fruttate e sotterranee. Già nelle note di testa il tabacco viene annunciato dal sentore aromatico ed ambrato della salvia sclarea, ma si esprime appieno nella dolcezza mielata del fondo in cui la fava tonka, l’elicriso e l’assoluta di grano conferiscono sentori golosi, agresti e profondi. Note legnose di cedro e vetiver conferiscono struttura al fondo che giace su un letto di note ambrate e muschiate, setose e fruttate.
Da un punto di vista tecnico ho cercato di costruire i due accordi fondamentali in maniera verticale, in modo da rendere l’idea di un vortice, quello dell’amore, che nel suo turbinio lascia sfuggire le caratteristiche delle due anime rendendole però inseparabili ed imprescindibili. Due anime disciolte ed instillate in un unico liquido, racchiuse in un corpo, quello di un flacone rosso come la fiamma dell’amore, ma trasparente come la sua purezza.
Antonio Alessandria
Amado Mio è la decima fragranza della linea Antonio Alessandria Parfums